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Collaborazione Pastorale di Latisana

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I    7 Segni giubilari (avanzato)

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IL GIUBILEO

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I  7 Segni Giubilari

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Una spiegazione approfondita dei 7 segni  legati all'anno giubilare

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La Bolla di indizione

I   7 Segni del Giubileo

La sua Storia

Cos'è il Giubileo

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In origine (1300) il modo di celebrare il Giubileo coincideva con la visita alle Basiliche romane di S. Pietro e di S. Paolo, quindi con il pellegrinaggio, successivamente si sono aggiunti altri segni, come quello della Porta Santa, della professione di fede, dei gesti di carità uniti a quello della preghiera, del Sacramento della Riconciliazione. 

Partecipando all’Anno Santo si vive l’indulgenza plenaria.

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Ecco i 7 segni

  1. Il PELLEGRINAGGIO
  2. La PORTA SANTA
  3. La PROFESSIONE DI FEDE
  4. La CARITÀ
  5. La RICONCILIAZIONE
  6. L'INDULGENZA GIUBILARE
  7. La PREGHIERA
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1 il PELLE-
GRINAGGIO

Il giubileo necessita del mettersi in cammino e di superare alcuni confini. Quando ci si muove, non si cambia solamente di luogo, ma ci si trasforma. 

È quindi fondamentale una preparazione, una pianificazione del tragitto e, soppratutto, elemento non sempre scontato, conoscere la meta. 

 

In questo senso il pellegrinaggio che caratterizza questo anno inizia prima del viaggio stesso: il suo punto di partenza è la decisione di farlo. 

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Il significato del pellegrinaggio trascende la semplice visita a una destinazione: rappresenta un percorso di crescita, riflessione e connessione più profonda con il divino, con se stessi o con la natura, attraverso il superamento di sfide fisiche ed emotive lungo il cammino

 

Con il tempo, il concetto di “pellegrinaggio” si è esteso anche a viaggi verso altri luoghi sacri, come montagne sacre, fiumi e monumenti storici.

L’etimologia della parola ‘pellegrinaggio’ è chiara per tutti e ha subìto poche mutazioni di significato. 

Essa deriva dal latino per ager che significa “attraverso i campi”, oppure per eger, che significa “passaggio di frontiera”: entrambe le radici evocano l'idea dell’intraprendere un viaggio. 

Abramo, nella Bibbia, è descritto proprio così, come una persona in cammino: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre” (Gen. 12,1). La sua avventura ha inizio in questo modo e avrà il suo epilogo nella Terra Promessa, dove viene ricordato come «arameo errante» (Dt 26,5). 

Anche Gesù inizia il suo ministero con un cammino tra la Galilea verso la città santa del popolo ebraico, Gerusalemme, come riileva ll'evangelista Luca: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme” (Lc 9,51). 

 

Lui stesso chiama i discepoli a compiere (idealmente) lo stesso viaggio. 

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Fa bene riflettere sul significato che il pellegrinaggio ha avuto nella religiosità del Medioevo e sulle ragioni, gli obiettivi e persino gli stati d’animo che hanno spinto gli uomini – ogni uomo – a intraprendere l’avventura del pellegrinaggio; uomini specifici, uno per uno, ma così tanti che la somma delle decisioni individuali ha generato uno dei fenomeni religiosi e sociali più importanti dell’Europa medievale.

Proviamo ad avvicinarci al periodo in cui il fenomeno è nato e ai suoi abitanti, nel tentativo di cogliere il significato profondo e allo stesso tempo molto semplice che il pellegrinaggio aveva per il cristiano del Medioevo.

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Il pellegrinaggio significava innanzitutto l’abbandono della propria casa, della propria cerchia familiare e della relativa sicurezza che l’uomo medievale vi trovava, per intraprendere un viaggio che in quei secoli era molto avventuroso, con tutti i pericoli, le privazioni e i disagi che comportava; e persino con un’alta probabilità per il pellegrino di morire durante il cammino e di non tornare più a casa.

Il pellegrinaggio aveva quindi un chiaro senso ascetico (una forma di vita che enfatizza l’autodisciplina, la rinuncia ai piaceri mondani e la dedizione alla spiritualità. ), era di per sé un prolungato esercizio di ascesi; un’ascesi la cui ispirazione ultima era la Bibbia.

A questo punto, possiamo storicamente identificare tre tipologie di pellegrinaggio:

 

- il pellegrinaggio permanente
- il pellegrinaggio penitenziale
- il pellegrinaggio religioso

IL PELLEGRINAGGIO PERMANENTE

Questa radicale componente ascetica di ogni pellegrinaggio spiega l’emergere dell’idea di perpetua peregnnatio (viaggio-pellegrinaggio permanente), che si cristallizza nei primi secoli del Medioevo. 

 

Il pellegrinaggio può essere concepito non solo come un episodio isolato, un viaggio più o meno lungo in un luogo più o meno remoto; potrebbe anche essere concepito come una situazione permanente, uno stato di vita

 

Tuttavia, la tradizione dominante nella spiritualità cristiana occidentale non era favorevole all’ascetismo itinerante. 

 

L’Occidente monastico era decisamente favorevole alla solitudine e alla stabilità. Il monachesimo celtico era un’eccezione. I monaci celtici dell’Irlanda e della Scozia del VI e VII secolo avevano un temperamento avventuroso, in contrasto con una vita sedentaria e regolare all’interno delle mura di un monastero. Tra questi monaci si diffuse la peregrinatio pro Christo, propter Deum, “per amore del Regno dei Cieli”, una forma di rinuncia ascetica che li portava a compiere un pellegrinaggio senza sosta per tutta la vita, senza mai tornare in patria. 

Nel monachesimo celtico troviamo il pieno riconoscimento del pellegrinaggio come status, come stile di vita stabile. Ma il monaco pellegrino non si limita a camminare sempre, ma annuncia la parola di Dio agli sconosciuti che incontra lungo il cammino. In questo modo, il monaco celtico itinerante divenne sia predicatore che missionario. 

 

L’apostolato missionario di questi asceti celtici portò l’annuncio del Vangelo prima ai popoli pagani della vicina Scozia e poi, con San Colombano e San Gallo, nel cuore del continente europeo, appena cristianizzato. I monaci pellegrini celtici erano uomini dell’avanguardia cristiana e la loro missione era più quella di annunciatori del Vangelo che di organizzatori di strutture ecclesiastiche. Questo compito sarebbe stato di altri uomini e di un altro momento storico. Ma non c’è dubbio che gli asceti itineranti, i pellegrini apostolici delle isole britanniche, occupano a buon diritto un capitolo di eroismo nella storia della cristianizzazione dell’Europa barbarica. 

 

Il “pellegrinaggio perpetuo” – abbiamo appena visto – costituiva un peculiare stato di vita consacrato all’ascesi. Ma è giunto il momento di occuparsi del pellegrino medievale nel senso proprio del termine: il cristiano che diventa temporaneamente pellegrino, e per il quale il pellegrinaggio è un episodio che riempie solo un’ora della vita. Tra questi pellegrini, tuttavia, c’era una categoria ben distinta dai pellegrini comuni e che aveva alcune analogie con i pellegrini perpetui: quelli che facevano un pellegrinaggio penitenziale. 

 

I pellegrinaggi penitenziali si distinguevano nettamente dai semplici pellegrinaggi religiosi, anche se questi ultimi venivano effettuati in uno spirito di penitenza e mortificazione cristiana.

IL PELLEGRINAGGIO PENITENZIALE

Come indica la parola, il pellegrinaggio penitenziale era imposto come punizione espiatoria agli autori di grandi crimini o di grandi peccati. 

 

Nella storia della disciplina penitenziale cristiana, il pellegrinaggio penitenziale divenne l’equivalente della penitenza pubblica e fu spesso imposto a persone che per la loro stessa condizione – chierici, monaci – non potevano assumere lo status di penitenti pubblici. 

 

La penitenza pubblica – come è noto – era una condizione di vita, che spesso durava per lunghi anni, al termine della quale il penitente riceveva il perdono sacramentale e si riconciliava con la Chiesa. 

 

Anche il pellegrinaggio penitenziale aveva, all’inizio, una nota molto marcata di temporaneità. Consisteva nel camminare senza meta, ma senza riposo, per il tempo indicato dal vescovo o dal confessore che imponeva la penitenza. 

 

Sempre in marcia in uno stato di insicurezza cronica, impotente di fronte a qualsiasi pericolo. Era un pellegrinaggio che non portava da nessuna parte, ma che durava un certo tempo. 

 

Questo tempo pellegrinaggio poteva essere lungo, a giudicare dal modello delle litterae tractoriae nelle “Formulas de Sens”, in cui la durata del pellegrinaggio era di sette anni. Le litterae tractoriae erano il certificato – il salvacondotto – che attestava la condizione penitenziale del pellegrino; venivano rilasciate dal vescovo e questo documento riportava non solo la durata della penitenza, ma anche il reato commesso. 

 

Il pellegrinaggio penitenziale era talvolta reso ancora più gravoso dalle condizioni in cui doveva essere effettuato quando l’enormità del crimine commesso lo richiedeva. 

 

Ci sono stati pellegrini che hanno camminato per anni, a piedi nudi, vestiti di stracci e con catene. Una forma di pellegrinaggio penitenziale, tipica delle cristianità insulari, era il pellegrinaggio per mare. 

 

La famosa “Navigazione di San Brendan” è il resoconto del pellegrinaggio per mare dell’abate del monastero di Confien, in espiazione della morte del fratello. Un’epopea che valse a San Brendano un’ampia popolarità e un culto che si diffuse lungo le coste europee, dal Baltico al Mediterraneo. 

 

Il pellegrinaggio penitenziale subì una grande trasformazione a partire dal IX secolo. I penitenti, invece di vagare senza meta lungo le strade della terra o del mare, cominciarono a dirigere i loro passi, come altri pellegrini, verso famosi santuari o tombe di santi come il Cammino di Santiago. 

 

Da allora Roma divenne sempre più meta di pellegrinaggi penitenziali. Ciò è legato all’estensione della giurisdizione del Papa in materia penitenziale, cioè all’estensione della cosiddetta “riserva dei peccati”. I crimini più gravi divennero peccati riservati al Papa, di cui solo lui poteva concedere l’assoluzione. I pellegrini penitenziali prendevano ora la strada per Roma, dove il Romano Pontefice o il suo Penitenziere Capo avrebbero concesso loro il perdono e la riconciliazione, che potevano trovare solo lì.

L'ultima tipologia di pellegrinaggio, quello religioso, era senza dubbio quello intrapreso dalla grande maggioranza dei pellegrini medievali: viene così chiamato perché le sue motivazioni erano soprattutto la pietà e la devozione. 

Possiamo presumere – come abbiamo detto – che la grande massa di pellegrini che viaggiavano attraverso l’Europa, in direzione di Santiago de Compostela, Roma o Gerusalemme, fossero questi “pellegrini religiosi”.

 

Proviamo ad avvicinarci a loro, a contemplarli da vicino, a cercare di scoprire le strade che hanno percorso, a indagare sul loro stato d’animo e sui motivi che li hanno spinti a intraprendere la grande avventura ascetica della loro vita. 

 

Quando il Medioevo aveva già superato il suo momento stellare, Dante Alighieri– il suo massimo esponente letterario – fece una classificazione dei pellegrini, che dimostra come ai suoi tempi lo schema ideologico del pellegrinaggio medievale fosse già perfettamente delineato. 

 

Nella “Vita nuova”, la più antica delle sue opere minori, Dante stabilisce tre categorie di pellegrini, a seconda del santuario a cui si recavano: i “palmiers” – “palmieri” – che si recavano oltremare, cioè nei Luoghi Santi, e da dove spesso portavano come souvenir le palme che davano loro il nome; i “pellegrini” – “romieri” – che si recavano a Roma, per compiere il loro “pellegrinaggio”; i semplici “pellegrini” – “peregrini” – che sembrano essere i pellegrini per eccellenza e che, nelle parole di Dante – e il fatto è abbastanza significativo – sono “quelli che vanno in Galizia, alla casa di Santiago“. 

 

IL PELLEGRINAGGIO RELIGIOSO

Il percorso, in verità, si costruisce man mano che vi si adersisce: vi sono vari itinerari da scegliere, luoghi da scoprire; le situazioni, le catechesi, i riti e le liturgie, e i compagni di viaggio permettono di arricchirsi di contenuti e prospettive nuovi. 

 

Anche la contemplazione del creato fa parte di tutto questo ed è un aiuto ad imparare che averne cura “è espressione essenziale della fede in Dio e dell’obbedienza alla sua volontà” (Francesco, Lettera per il Giubileo 2025). 

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Il pellegrinaggio è un’esperienza di conversione, di cambiamento della propria esistenza per orientarla verso la santità di Dio. Con essa, si fa propria anche l’esperienza di quella parte di umanità che, per vari motivi, è costretta a mettersi in viaggio per cercare un mondo migliore per sé e per la propria famiglia.

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02 la PORTA SANTA

Il 24 dicembre 2024 è iniziato l’anno giubilare con l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano.

Dal punto di vista simbolico, la Porta Santa assume un significato particolare: è il segno più caratteristico del Giubileo perché la meta del pellegrinaggio a Roma è proprio poterla varcare. 

Del resto è la sua apertura a costituire l’inizio ufficiale dell’Anno Santo.

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Originariamente a Roma, vi era un’unica porta, presso la basilica di San Giovanni in Laterano, che è ancora oggi la chiesa più importante del pianeta poiché “mater e caput” di tutte le chiese di Rome e del mondo. Al suo interno c’è la Cattedra del Papa.

Nel varcare la soglia della Porta Santa, al pellegrino viene in mente una frase di Gesù riportata nel Vangelo di Giovanni:“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. (Gv 10,9) 

 

Il gesto esprime la decisione di seguire e di lasciarsi guidare da Gesù, che è il Buon Pastore. Del resto, la porta è anche passaggio che introduce all’interno di una chiesa che è non solo un luogo sacro ma anche segno della comunione che lega ogni fedele a Gesù. 

 

Luogo di incontro, di dialogo, di riconcilizione e di quella pace che attendono la visita di  ogni pellegrino.

A Roma questa esperienza diventa carica di uno speciale significato, per il fatto che S. Pietro e S. Paolo, apostoli hanno fondato e formato la comunità cristiana di Roma e che con i loro insegnamenti e il loro esempio sono riferimento per la Chiesa universale. Il loro sepolcro si trova qui, dove sono stati martirizzati; insieme alle catacombe, è luogo di continua ispirazione.

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La prima Porta Santa creata nella storia della cristianità però non è quella del Laterano. Nacque in Abruzzo, a L’Aquila, con la fondazione della basilica di Santa Maria di Collemaggio nel 1288 per volere di Celestino V, che qui fu incoronato papa il 29 agosto 1294.

 

Qui si tiene un giubileo annuale, precursore del primo Giubileo, istituito con la Bolla del Perdono del 29 settembre 1294, oggi noto con il nome di Perdonanza Celestiniana e classificato dall’UNESCO tra i patrimoni orali e immateriali dell’umanità; pertanto, la basilica è caratterizzata dalla presenza di una Porta Santa sulla facciata laterale.

LA PORTA SANTA DI SAN PIETRO

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L’attuale porta Santa ha una storia abbastanza recente che ebbe inizio nel 1949, momento in cui papa Pio XII, la aprì alla Vigilia di Natale del 1949. 

A realizzarla fu Vico Consorti, scultore senese per il Giubileo straordinario del 1950 e si trova all’estrema destra della facciata della basilica.
Esisteva già una Porta Santa nella vecchia basilica Costantiniana, voluta da papa Sisto IV della Rovere per il Giubileo del 1475.

Per la fabbricazione della porta attuale fu indetto un concorso aperto alla realizzazione di tre porte della facciata ma i membri della commissione esaminatrice non riuscirono a trovare un progetto adeguato. 

Furono premiati dodici artisti con una medaglia d’oro ma nessuno dei loro progetti fu assunto come quello definitivo.

 

Mons. Ludovico Kaas, segretario della commissione del concorso e segretario della Fabbrica di San Pietro, fuori concorso affidò la realizzazione della nuova Porta Santa a Vico Consorti commissionandogli il tema dei due battenti in bronzo e gli episodi che l’artista avrebbe dovuto raffigurare nelle 16 formelle, spirate dalla preghiera di Pio XII: “Concedimi, o Signore, che questo Anno Santo sia l’anno del gran ritorno e del gran perdono“.


Il lavoro si protrasse per 9 mesi.

 

Le formelle in bronzo dorato hanno come tema centrale scene bibliche corredate da iscrizioni mentre 12 pannelli mostrano gli stemmi papali dei pontefici che hanno aperto e chiuso la Porta Santa: da Bonifacio VIII fino a Papa Benedetto XVI.

Consorti è stato incaricato di modellare due battenti di una porta in bronzo per sostituire la Porta Santa già esistente della Basilica Vaticana, mantenendo gli antichi scomparti architettonici: 16 pannelli grandi e 12 pannelli piccoli.
 

In alto le prime quattro formelle vanno poste insieme, divise per materia. 


A sinistra la Cacciata dei Progenitori, il Peccato Mortale, la Caduta, la Perdizione. 


A destra l’Annunciazione, il Mistero dell’Incarnazione, la Realtà della Salvezza. 


Le iconografie della Cacciata di Adamo ed Eva e dell’Annunciazione vanno accomunate, come annuncio dell’inizio e della fine dei tempi, della condizione umana collocata tra l’Angelo del Giudizio e l’Angelo dell’Annuncio: come Maria è la nuova Eva, così il Cristo sarà il nuovo Adamo. 


Segue il corpo umilmente nudo disponibile all’immersione per il Battesimo, al corpo splendente del trasfigurato che compare al persecutore convertito, ecco che si dispiega la catechesi della Storia della Salvezza.
 

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La lettura che si può fare relaziona orizzontalmente le file di pannelli ma permette, anche verticalmente, di giungere dalla Cacciata alla Pentecoste e dall’Annunciazione all’Apertura della Porta Santa, analogica del Mistero dell’Incarnazione. Per quanto riguarda poi i battenti interni, La realtà della Redenzione e della Salvezza, vengono ad unificarsi nei due battenti “chiusi” in quanto ‘”aperti” nella coscienza del fedele in pellegrinaggio. 

Le formelle, dunque, sono usate come capitoli – ora chiusi, ora aperti – di un unico racconto, in una costruzione formale ad uso modulare, concepite dunque come una vera e propria articolazione testuale.

Nel momento in cui vennero commissionati i nuovi battenti, avrebbero dovuto servire per chiudere il varco che portava all’interno della Basilica in orario notturno durante l’anno giubilare.


La Porta Santa, infatti, era formata da un muro di mattoni che veniva abbattuto simbolicamente dal papa con il martello lasciando l’accesso libero a tutti anche in orario notturno.


In pratica il muro di mattoni, dopo i tre colpi dati con il martello dal pontefice, veniva calato sopra una sorta di macchinario e i sanpietrini lo allontanavano per liberare l’accesso alla basilica.


Il rito dell’abbattimento simbolico del muro fu cambiato sotto il pontificato di papa Paolo VI.
 

Il muro di mattoni che sigilla l’ingresso viene rimosso nei giorni precedenti dai sanpietrini dopodiché viene estratta la cassetta rimasta nel muro dall’ultimo Anno Giubilare che custodisce la chiave che consente l’apertura del portone.


Il pontefice in carica si limita ad aprire i battenti in bronzo, proprio come ha fatto anche papa Francesco durante la vigilia del Natale 2024. 

 

Da allora in poi il portone rimarrà aperto fino al 2 gennaio 2026, chiudendo l’accesso alla basilica per motivi di sicurezza solo in orario notturno.
 

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APRI LA PORTA SANTA 
DEL TUO CUORE A GESÙ

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03 il SIMBOLO DELLA FEDE

La professione di fede, chiamata anche “simbolo”, è un segno di riconoscimento proprio dei battezzati; vi si esprime il contenuto centrale della fede e si raccolgono sinteticamente le principali verità che un credente accetta e testimonia nel giorno del proprio battesimo e condivide con tutta la comunità cristiana per il resto della sua vita.

 

 

È una sintesi armonica nella quale ogni parte richiama le altre.

 

 

La professione di fede cristiana nasce dalle esigenze interne delle comunità cristiane primitive.

CREDO

Il termine Credo viene usato perché questa è la prima parola di tutte le professioni di fede. 

PROFESSIONE DI FEDE

Le sintesi della fede vengono chiamate professioni di fede perché riassumono la fede professata dai cristiani. 

La parola simbolo deriva dal greco σύμβολον, sýmbolon, "tessera", "segno di riconoscimento"; derivata invece da συμβολή, symbolé, significa “contributo”.I Padri ricorsero di preferenza alla prima derivazione nello spiegare perché con tale termine si designa la professione di fede richiesta per l'ammissione al Battesimo, e questo specialmente dopo Rufino e Agostino. La parola greca σύμβολον indicava la metà di un oggetto spezzato (per esempio un sigillo), che veniva presentato come un segno di riconoscimento: le parti rotte venivano ricomposte per verificare l'identità di chi le portava; in tale senso il Simbolo della fede è un segno di riconoscimento e di comunione tra i credenti. σύμβολον passò poi a significare "raccolta", "collezione" o “sommario”.

SIMBOLO

Nella missione affidata da Gesù ai suoi discepoli (Mt 28,19-20 ) era implicito che gli insegnamenti da impartire dovevano avere una formula ben definita. 

 

Non suscit stupore, quindi, che fin dai primi tempi siano sorte nella Chiesa formule dottrinali brevi, facili, precise, chiamate poi simboli, che dovevano servire a mantenere l'uniformità della fede, e anche per assicurarsi della fede di coloro che dovevano essere ammessi alla Chiesa. In questo ultimo caso ci troviamo nell'ambito della liturgia battesimale: è in essa che si sviluppano le prime professioni di fede, che assunsero presto una struttura trinitaria.

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Affini ad esse quanto al contenuto erano le regole di fede, che svolsero un ruolo soprattutto nelle discussioni teologiche.

Man mano che le iniziali formule di fede si andavano svolgendo, esse divennero, consciamente o meno, la base delle polemiche e delle apologie, mentre la necessità di combattere le eresie suggerì di volta in volta l'aggiunta o l'accentuazione di uno o altro pensiero.

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Queste precisazioni si moltiplicarono nel corso dei secoli, e alle negazioni degli eretici la Chiesa oppose sempre le professioni di fede dei suoi simboli.

 

I simboli della fede sono perciò da considerare come una manifestazione tangibile della vitalità della Chiesa. 

 

Il fatto che la Chiesa ne prescrive un uso così frequente nella sua liturgia dice già per sé quanto essi servano per rafforzare i legami che uniscono i discepoli di Cristo nell'unica fede.

Esistono varie professioni di fede, che mostrano la ricchezza dell’esperienza dell’incontro con Gesù Cristo. 

 

Tradizionalmente, però, quelle che hanno acquisito un particolare riconoscimento sono due:

 

- il credo battesimale della chiesa di Roma e

- il credo niceno-costantinopolitano, elaborato originariamente nel 325 dal concilio di Nicea, nell’attuale Turchia, e poi perfezionato in quello di Costantinopoli nel 381.

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Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza” (Rm 10,9-10). 

 

Questo testo di S. Paolo sottolinea come la proclamazione del mistero della fede richieda una conversione profonda non solo nelle proprie parole, ma anche e soprattutto nella propria visione di Dio, di se stessi e del mondo. 

 

«Recitare con fede il Credo significa entrare in comunione con Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ed anche con tutta la Chiesa che ci trasmette la fede e nel seno della quale noi crediamo» (CCC 197).

 

di seguito i testi dei 2 principali simboli della fede

 

CREDO 
BATTESIMALE CHIESA DI ROMA

CREDO 
NICENO-COSTANTINOPOLITANO

Io credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra,
e in Gesù Cristo, suo unico Figlio, 
nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine, patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi;il terzo giorno risuscitò da morte; salì al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti.

 

Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica,
la comunione dei santi,
la remissione dei peccati,
la risurrezione della carne,
la vita eterna. 

 

Amen. 

Credo in un solo Dio,
Padre onnipotente,
Creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.


Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli:
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero
da Dio vero, generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono
state create.


Per noi uomini e per la nostra
salvezza discese dal cielo,
e per opera dello Spirito Santo si è
incarnato nel seno della Vergine
Maria e si è fatto uomo.


Fu crocifisso per noi sotto Ponzio
Pilato, mori e fu sepolto.
Il terzo giorno è risuscitato,
secondo le Scritture, è salito al cielo,
siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria, per
giudicare i vivi e i morti, e il suo
regno non avrà fine.


Credo nello Spirito Santo,
che è Signore e dà la vita, e procede
dal Padre e dal Figlio. Con il Padre
e il Figlio è adorato e glorificato, e
ha parlato per mezzo dei profeti.


Credo la Chiesa, una santa
cattolica e apostolica.


Professo un solo Battesimo per il
perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà.


Amen. 

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CREDI PER CAPIRE

CAPISCI PER CREDERE 

(s.Agostino)

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04 La 
CARITÀ

La carità costituisce una caratteristica principale della vita cristiana.

 

Nessuno può pensare che il pellegrinaggio e la celebrazione dell'indulgenza giubilare possano essere relegati a una forma di rito magico, senza sapere che è la vita di carità che da loro il senso ultimo e l'efficacia reale.

D’altronde, la carità è il segno preminente della fede cristiana e sua forma specifica di credibilità. Nel contesto del Giubileo non sarà da dimenticare l'invito dell’apostolo Pietro: “Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati” (1Pt 4,8).

 

 

Secondo l'evangelista Giovanni, l'amore verso il prossimo, che non viene dall’uomo, ma da Dio, permetterà di riconoscere nel futuro i veri discepoli di Cristo. Risulta, quindi, evidente che nessun credente può affermare di credere se poi non ama e, viceversa, non può dire di amare se non crede.

Anche l'apostolo Paolo ribadisce che la fede e l'amore costituiscono identità del cristiano; l'amore è ciò che genera perfezione (cfr. Col 3,14), la fede ciò che permette all'amore di essere tale.

 

La carità, dunque, ha un suo spazio peculiare nella vita di fede; alla luce dell’Anno Santo, inoltre, la testimonianza cristiana deve essere ribadita come forma maggiormente espressiva di conversione.

 

 

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La carità è l'amicizia dell'uomo con Dio basata sulla partecipazione dell'uomo nella vita Divina, è una condivisione della felicità di Dio Stesso


Ma l'uomo non può per natura partecipare alla vita di Dio. Questa partecipazione è un dono libero soprannaturale che Dio dà all'uomo. La carità, perciò, non può essere acquistata mediante sforzo umano. 

 

 

COS'È

CHI LA DONA

Essa è un dono di Dio infuso nell'anima umana dalla bontà e dalla generosità di Dio. Chi può donare all'uomo una partecipazione all'Amore Divino se non Dio Stesso?

COSA FA

Dal momento che la carità è una partecipazione all'amore divino, essa spinge l'uomo ad amare tutto quello che Dio ama. Ma Dio ama tutto ciò che è buono; quindi l'uomo amerà nella carità tutto ciò che è buono. 

Egli amerà il suo prossimo, perché Dio lo ha creato per Sé. 

 

Amerà se stesso, perché Dio lo ama. 

 

Amerà il mondo intero perché esso dà gloria a Dio. 

 

Gli animali, le piante, i sassi, i fiumi e le montagne - l'uomo amerà tutte queste cose perché Dio le create per amore. 

 

L'uomo amerà il proprio corpo, anche se può indurlo a peccare, perché Dio lo ha creato buono ed esso dovrebbe aiutare l'uomo nel suo ritorno a Dio. 

 

L'uomo deve odiare la debolezza della carne che lo porta lontano da Dio, ma deve amare il suo corpo in quanto lo aiuta a trovare e a servire Dio che è la nostra Felicità. 

 

La carità abbraccia perfino i peccatori, non perché sono tali, ma perché sono esseri umani capaci di conversione, riconciliazione e ritorno a Dio. 

Dal momento che Dio ama tutte le cose secondo la misura in cui sono amabili, la carità pertanto, o l'amicizia con Dio, amerà tutte le cose secondo la medesima misura.

Siccome l'amore è il motore che muove tutte le azioni umane ed è la sorgente di ogni sforzo umano, possiamo presumere che la carità o l'amore di Dio avrà un influsso profondo sulla nostra ricerca della felicità. 

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La carità porta la felicità non solo ai singoli esseri umani, ma a tutto il genere umano. 

La carità produce effetti interiori nell'individuo e effetti esteriori nella società. 

Si potrebbe dire che dal momento che la carità segue l'ordine che Dio vuole nel mondo creato, essa allora dovrebbe recare la gioia al mondo intero. 

 

Gli effetti interiori della carità sono gioia, pace, e misericordia nell’uomo singolo. 

 

Gli effetti esteriori della carità sono beneficenza, elemosina, e la correzione fraterna nella società.

 

Quando consideriamo insieme tutti questi effetti della carità, è facile vedere che la carità potrebbe davvero trasformare il mondo. 

I SUOI EFFETTI

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La carità stessa è una prova dell'ingresso di Dio nel nostro mondo. 

 

L'Amore di Dio introduce la carità divina nelle nostre anime, pertanto la carità è una condivisione dell'amore divino: unisce l'uomo immediatamente all'Amore Supremo che è Dio, e attraverso il possesso di Dio l'anima umana viene riempita di gioia. 

 

Siccome tutte le facoltà dell'uomo ricevono unità e direzione grazie alla carità divina, la pace entra nell'anima umana e diffonde la concordia fra tutti. 

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La carità genera nei cuori degli uomini la misericordia che cerca di soccorrere i poveri, i deboli e i bisognosi. 

 

La carità apre i cuori degli uomini al mondo intero e li rende capaci di mettere il sigillo dell'amore sul mondo mediante la beneficenza, l'elemosina, e la correzione fraterna

La carità genera nei cuori degli uomini la misericordia che cerca di soccorrere i poveri, i deboli e i bisognosi. 

 

La carità apre i cuori degli uomini al mondo intero e li rende capaci di mettere il sigillo dell'amore sul mondo mediante la beneficenza, l'elemosina, e la correzione fraterna

 

Se tutti gli uomini vivessero per mezzo della carità, il mondo diventerebbe quel paradiso che tutti hanno sognato fin dal principio dei tempi.

 

Iniziamo a renderla feconda in noi nel tempo giubilare che ci viene dato.

“NELLE COSE ESSENZIALI, UNITÀ; NEL DUBBIO, LIBERTÀ; 
IN TUTTE LE COSE, CARITÀ.”
(Tommaso da Kempis)
 

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05 La 
RICONCILIAZIONE

Il giubileo è un segno di riconciliazione, perché apre un «tempo favorevole» (cfr. 2Cor 6,2) per la propria conversione. 

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Dio viene posto al centro della propria esistenza, compiendo un cammino verso di Lui in quanto riconosciuto come al di sopra di ogni bene e aspirazione. 

Anche il richiamo al ripristino della giustizia sociale e al rispetto per la terra, nella Bibbia, nasce da una esigenza teologica: se Dio è il creatore dell’universo, gli si deve riconoscere priorità rispetto ad ogni realtà e rispetto agli interessi di parte. 

Concretamente, si tratta di vivere il sacramento della riconciliazione, di approfittare di questo tempo per riscoprire il valore della confessione e ricevere personalmente la parola del perdono di Dio. 

 

Vi sono alcune chiese giubilari che offrono con continuità questa possibilità.

E QUINDI?

È Lui che rende santo questo anno, donando la propria santità.

Il sacramento della Penitenza e Riconciliazione è il sacramento che ci riconcilia con Dio e con i fratelli attraverso il perdono di Dio e della Chiesa per i nostri peccati:

Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera”. (CCC 1422).

 

Esso è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei nostri peccati gravi commessi dopo il battesimo ed è allo stesso tempo cammino di grazia e di conversione, speciale incontro con l’amore di Dio.

COS'É LA CONFESSIONE

E’ chiamato secondo vari nomi che sottolineano aspetti diversi:

sacramento della Conversione 

perché impegna, rende presente e sostiene il sacramentale appello di Gesù alla conversione, il cammino di ritorno al Padre da cui ci si è allontanati con il peccato

sacramento della Penitenza 

perchè consacra il passo di conversione, pentimento, soddisfazione nel cammino personale di pentimento per i propri peccati e di promessa di bene ecclesiale del cristiano peccatore

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sacramento della Confessione 

perché confessare i peccati, il nostro tradimento (confessio peccatorum, «confessione dei peccati»), a un sacerdote è uno degli elementi essenziali del sacramento nell’orizzonte della confessione dell’amore di Dio per l'uomo meccatore (confessio laudis, «confessione di lode»)

sacramento del Perdono 

perché attraverso l’assoluzione sacramentale del sacerdote, ministro di Dio accorda il perdono e la pace

sacramento della Riconciliazione 

perché l’amore riconciliatore di Dio che riappacifica il peccatore con Dio e con i fratelli: ‘Lasciatevi riconciliare con Dio’. Colui che vive dell’amore misericordioso di Dio è pronto a rispondere alla chiamata del Signore: ‘Andate; prima a riconciliarti con il tuo fratello’ “(CCC 1423)

Il requisito fondamentale per una buona confessione è quello di avere l’intenzione di ritornare a Dio con tutto il tuo cuore, come “figliol prodigo”, e di riconoscere i tuoi peccati con vero dolore davanti al sacerdote.

UNREQUISITO FONDAMENTALE

La società moderna ha perso il senso del peccato. Come amici del Signore Gesù, dobbiamo fare uno sforzo per riconoscere il peccato nelle nostre azioni quotidiane, nelle parole e nelle omissioni.

 

I Vangeli mostrano l’importanza del perdono dei nostri peccati. 

 

Le vite dei santi dimostrano che una persona che cresce in santità ha un senso più forte del peccato, ne è addolorato e ha una forte propensione al sacramento della Riconciliazione. 

 

Non c’è da stupirsi che i Santi siano pieni di gioia! Hanno capito che la chiave per consegnare i loro fardelli a Cristo è il sacramento della confessione che li rende liberi di servire Lui con amore ed energia.

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BENTORNATO A CASA

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06 L' 
INDULGENZA GIUBILARE

Papa Francesco nella bolla “Spes non confundit” ricorda che l’indulgenza “permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio”

Questo tesoro di grazia si è fatto storia in Gesù e nei santi: guardando a questi esempi, e vivendo in comunione con loro, si rafforza e diviene certezza la speranza del perdono e per il proprio cammino di santità. 

L’indulgenza permette di liberare il proprio cuore dal peso peccato, perché la riparazione dovuta sia data in piena libertà.

Affrontiamo la questione di cosa sia l'Indulgenza plenaria inizialmente con utiilizzando un esempio per analogia, per poi dare una spiegazione più teologica.

ESATTAMENTE COS'É

L'indulgenza plenaria può essere paragonata a una cura completa che un medico offre a un paziente. Quando pecchiamo, nella nostra anima rimangono come delle cicatrici del peccato, anche dopo il perdono: siamo in grazia di Dio, ma può rimanere l'abitudine al peccato. 

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L'indulgenza plenaria rimuove completamente queste cicatrici, guarendo l'anima e preparandola a una vita nuova, libera dai segni del peccato. Come un medico che non solo cura la malattia ma anche le sue conseguenze, l'indulgenza offre una guarigione totale.

usando un linguaggio tecnico…

 

L'indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi.

L'espressione “pena temporale” può dar luogo al pensiero di un castigo che Dio ha inflitto al peccatore per punirlo del male commesso. In realtà, la pena temporale è «l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri» (Francesco, Misericordiae vultus, n. 22). «L’impronta negativa», cioè il disordine, le contraddizioni, il dissesto che i comportamenti peccaminosi lasciano in noi: abitudini cattive, disordine degli affetti, debolezza della volontà, inclinazione a ricadere nel peccato… 

 

«Impronta negativa» in noi e attorno a noi: pensiamo ai disastri che certi comportamenti sbagliati (prepotenza, violenza, chiusure egoistiche, dipendenze…) provocano là dove vive chi di tali comportamenti si rende responsabile. 

Evidentemente, anche dopo che il peccatore pentito ha ricevuto il perdono di Dio, l’«impronta negativa» rimane e, per quanto possibile, va «riparata» grazie a un cammino di conversione. 

 

Qualora non si ponesse rimedio alla pena temporale prima di "varcare le soglie di questa vita", essa verrà“scontata” nel purgatorio.  

 

La necessità di un percorso penitenziale anche dopo aver ricevuto l’assoluzione non implica la svalutazione del perdono di Dio, che è gratuito, totale e senza riserve nel momento in cui il peccatore è riconciliato con Dio e con la Chiesa. 

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Il perdono di Dio, però, incontra la situazione concreta del peccatore, con «l’impronta negativa» che il peccato ha lasciato in lui e attorno a lui; e, a fronte di questa situazione, il perdono innesca e rende possibile il necessario cammino di conversione grazie al quale il peccatore può ricostruirsi come uno che vive nell’amore.

 

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Oltre che in gesti di preghiera, elemosina e digiuno, il percorso penitenziale può esprimersi nella paziente sopportazione delle prove della vita. 

 

Rimanere nelle prove senza lasciarsi schiacciare dalla disperazione; rimanere nelle prove, restando aggrappati a quel Dio che non ci manda i mali, ma che dal male vuole liberarci; rimanere nelle prove, affidandoci al mistero di Dio per trovare in questa «resa» le risorse per «resistere»…: tutto questo configura un autentico cammino di conversione all’amore.

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L’Indulgenza è uno dei modi attraverso cui la Chiesa si fa carico di sostenere la nostra debolezza, affinché ci sia dato di realizzare una conversione profonda ed efficace, eliminando anche «l’impronta negativa» che i peccati – nostri o altrui – hanno lasciato nel mondo.

 

Questo aiuto la Chiesa lo offre attingendo al «tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi»: il misterioso legame di comunione che, in Cristo e per mezzo di Cristo, ci unisce alla vita di tutti gli altri cristiani nell’unità della Chiesa. 

 

«Si instaura così tra i fedeli un meraviglioso scambio di beni spirituali, in forza del quale la santità dell’uno giova agli altri ben al di là del danno che il peccato dell’uno ha potuto causare agli altri.

Esistono persone che lasciano dietro di sé come un sovrappiù di amore, di sofferenza sopportata, di purezza e di verità, che coinvolge e sostiene gli altri» 

(Giovanni Paolo II, Incarnationis mysterium, n. 10)

GESU' TI DONA LA PACE VERA, QUELLA DEL CUORE

GESU' TI DONA LA GUARIGIONE VERA, QUELLA DELL'ANIMA

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07 la PREGHIERA

Quello della preghiera è quasi un istinto presente in tutti gli uomini e tutte le donne di tutti i tempi.

 

Da sempre l’uomo prega. Si potrebbe dire che quello della preghiera è quasi un istinto presente in tutti gli uomini e tutte le donne di tutti i tempi. Di solito questo “istinto” emerge nei momenti di difficoltà, ma anche nei momenti di grande gioia. 

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Il Catechismo della Chiesa cattolica all'articolo 2567 recita:
Dio, per primo, chiama l'uomo. Sia che l'uomo dimentichi il suo Creatore oppure si nasconda lontano dal suo volto, sia che corra dietro ai propri idoli o accusi la divinità di averlo abbandonato, il Dio vivo e vero chiama incessantemente ogni persona al misterioso incontro della preghiera. 

 

Questo passo d'amore del Dio fedele viene sempre per primo nella preghiera; il passo dell'uomo è sempre una risposta. 

A mano a mano che Dio si rivela e rivela l'uomo a se stesso, la preghiera appare come un appello reciproco, un evento di alleanza. 

Attraverso parole e atti, questo evento impegna il cuore. 

Si svela lungo tutta la storia della salvezza.

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Vi sono molti modi e molte ragioni per pregare; alla base vi è sempre il desiderio di aprirsi alla presenza di Dio e alla sua offerta di amore

 

La comunità cristiana si sente chiamata e sa che può rivolgersi al Padre solo perché ha ricevuto lo Spirito del Figlio. 

La tradizione cristiana offre altri testi, come l’Ave Maria, che aiutano a trovare le parole per rivolgersi a Dio: «È attraverso una trasmissione vivente, la Tradizione, che, nella Chiesa, lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare» (CCC 2661).

La tradizione cristiana offre altri testi, come l’Ave Maria, che aiutano a trovare le parole per rivolgersi a Dio: «È attraverso una trasmissione vivente, la Tradizione, che, nella Chiesa, lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare» (CCC 2661).

 

I momenti di orazione compiuti durante il viaggio mostrano che il pellegrino ha le vie di Dio “nel suo cuore” (Sal 83,6). 

 

Anche a questo tipo di ristoro servono le soste e le varie tappe, spesso fissate attorno ad edicole, santuari, o altri luoghi particolarmente ricchi dal punto di vista del significato spirituale, dove ci si accorge che – prima e accanto – altri pellegrini sono passati e che cammini di santità hanno percorso quelle stesse strade. 

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La preghiera è un “avvenimento” in cui il Cielo e la Terra si incontrano: l’Altro e la persona nella sua unicità sembrano ritrovarsi poiché è nella natura di Dio amare la sua creatura e, questi, per grazia, ma non solo, ritrovarsi in Lui. 

L'uomo è “capace di infinito” e l'infinito desidera farsi conoscere.

COS'É LA PREGHIERA

LA PREGHIERA CRISTIANA

La preghiera cristiana è la preghiera di Cristo. 

La sua è la preghiera di lode, di benedizione, di intercessione, di invocazione rivolta al Padre. 

Così la Chiesa tutta, ogni singolo credente in Cristo entra nella melodia di Cristo, si muove nella consonanza della preghiera di Cristo. 

 

La preghiera cristiana è proprio la preghiera dello Spirito di Cristo. È Lui che ci fa gridare: «Abbà, Padre», che nutre i desideri affinché diventino desideri di Dio, sete di comunione con Dio. Possiamo dire che la preghiera cristiana è specificatamente l’invocazione dello Spirito: ci rivolgiamo al Padre, attraverso il Figlio, nella potenza dello Spirito Santo.

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La preghiera è un evento che coinvolge tutta la nostra umanità: i pensieri, gli affetti, i sentimenti, la volontà, la percezione, il corpo. Insomma, tutto in ogni essere umano. Grazie agli studi di neurofisiologia, si può affermare che la preghiera è un’attività che muove le strutture cerebrali, in modo specifico. 

COSA COINVOLGE

Si tratta di un evento fisiologico che non tiene conto della religione di appartenenza: tutte le persone che entrano nell’attività orante, meditativa, riflessiva e si pongono in relazione a un “altro” trascendente, attivano parti del cervello e del sistema nervoso che sono comuni. La nostra struttura umana viene sollecitata da una scelta relazionale, pur trattandosi di un Altro non visibile.

 

La preghiera è una parola che entra, costruisce, fa, compie la relazione tra l’Io umano e l’Io divino. Il suo contesto che definiamo “naturale” è quello dialogico, in cui il Tu divino chiama o con-voca l’Io umano e lo conduce alla relazione. Se il rapporto “Io-Tu” è la struttura costitutiva della preghiera, quella cristiana fonda questa relazione nella Rivelazione. 

A Dio si va con Dio, con il Figlio, nel quale siamo tutti figli e ci fa conoscere il Padre, ossia, in senso giovanneo, ci fa entrare nella possibilità dell’amare. Questo è l’agire dello Spirito.

COSA FA LA PREGHIERA

Nella sua riflessione sul Padre nostro, Simone Weil conclude in questo modo… fondante: «noi gli apparteniamo. Egli ci ama, perché ama se stesso e noi siamo cosa sua. Ma è il Padre che è nei cieli. Non altrove. Se noi crediamo di avere un padre quaggiù non è lui, ma un falso dio. Non possiamo fare un solo passo verso di lui: non si cammina verticalmente. Possiamo dirigere verso di lui soltanto il nostro sguardo».

IL SUO FONDAMENTO

LA SUA COSTITUZIONE

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La preghiera che esprime una religiosità legata a un Dio conosciuto, del quale si condivide la passione per il Bene dell’umanità, è fatta di lode, di ringraziamento, di fiducia, di intercessione fiduciosa e non di paura. 

 

Per noi cristiani è la preghiera di Gesù che alza il suo canto di lode e di gloria al Padre e conduce i suoi discepoli a entrare in relazione con Dio nella forma di figlie e figlie (cf. Gv 15,9-17).

Le forme diverse di preghiera possono essere descritte come presenti nel percorso di maturazione della fede, della coscienza credente. Così, possiamo discernere quali figure di Dio sono più presenti nell’immaginario religioso individuale. In ogni caso, per un cristiano, il “lavoro sulle immagini di Dio” è sempre una evangelizzazione del nome di Dio e della sua rappresentazione.

 

LA PREGHIERA DELLE PREGHIERE

La preghiera più eccellente di tutte è la Santa Messa.

Essa è la più alta, la più sublime, e nello stesso tempo la più “concreta”. Infatti è l’incontro d’amore con Dio mediante la sua Parola e il Corpo e Sangue di Gesù. 

 

È un incontro vivo con il Signore.

 

Con la S.Messa il Signore incontra la nostra fragilità per riportarci alla nostra chiamata: la vocazione ad essere immagine e somiglianza di Dio.

 

che esprime una religiosità legata a un Dio conosciuto, del quale si condivide la passione per il Bene dell’umanità, è fatta di lode, di ringraziamento, di fiducia, di intercessione fiduciosa e non di paura. 

Per noi cristiani è la preghiera di Gesù che alza il suo canto di lode e di gloria al Padre e conduce i suoi discepoli a entrare in relazione con Dio nella forma di figlie e figlie (cf. Gv 15,9-17).

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PERCHÉ?

La S.Messa è il memoriale del Mistero pasquale di Cristo. Essa ci rende partecipi della sua vittoria sul peccato e la morte, e dà significato pieno alla nostra vita.
Per questo, per comprendere il valore della Messa dobbiamo innanzitutto capire allora il significato biblico del “memoriale”. Esso «non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma li rende in certo modo presenti e attuali. Ogni volta che viene celebrata la Pasqua, gli avvenimenti dell’Esodo sono resi presenti alla memoria dei credenti affinché conformino ad essi la propria vita».

Gesù Cristo, con la sua passione, morte, risurrezione e ascensione al cielo ha portato a compimento la Pasqua. E la Messa è il memoriale della sua Pasqua, del suo “esodo”, che ha compiuto per noi, per farci uscire dalla schiavitù e introdurci nella terra promessa della vita eterna. 

 

Non è soltanto un ricordo, no, è di più: è rendere presente quello che è accaduto duemila anni fa.

Partecipare alla Messa, in particolare alla domenica, significa entrare nella vittoria del Risorto, essere illuminati dalla sua luce, riscaldati dal suo calore.

COSA FA LA MESSA

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Attraverso la celebrazione eucaristica lo Spirito Santo ci rende partecipi della vita divina che è capace di trasfigurare tutto il nostro essere mortale. 

 

Nella Messa ci uniamo a Gesù. Anzi, Cristo vive in noi e noi viviamo in Lui.

 

Il suo sangue ci libera dalla morte e dalla paura della morte.

Ci libera non solo dal dominio della morte fisica, ma dalla morte spirituale che
è il male, il peccato, che ci prende ogni volta che cadiamo vittime del peccato nostro o altrui. E allora la nostra vita viene inquinata, perde bellezza, perde significato, sfiorisce.

Quando andiamo a Messa è come se andassimo al calvario: attraversare passione, morte, risurrezione e ascensione di Gesù.

Senza Gesù siamo condannati ad essere dominati dalla stanchezza del quotidiano, con le sue preoccupazioni, e dalla paura del domani. L’incontro domenicale con il Signore ci dà la forza di vivere l’oggi con fiducia e coraggio e di andare avanti con speranza.

 

 Per questo noi cristiani andiamo ad incontrare il Signore la domenica, nella celebrazione eucaristica.

 

Non andiamo a Messa per dare qualcosa a Dio, ma per ricevere da Lui ciò di cui abbiamo davvero bisogno.

UNA BUONA PREGHIERA!

UNA FECONDA S.MESSA!

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